La situazione migliora, specie per quanto riguarda morbillo e meningite C. Ma gli obiettivi restano lontani. A cinque mesi dalla pubblicazione di Vaccini d’Italia, l’inchiesta che ha prodotto una mappa delle coperture vaccinali in Italia, Wired è tornato ad utilizzare la versione italiana del Freedom of Information Act per chiedere alle aziende sanitarie locali i dati relativi al numero di bambini vaccinati.
L’azione di mappatura ha riguardato anche questa volta le coperture vaccinalia 24 mesi. Si tratta però di quelle registrate al 31 dicembre 2016 per i bambini nati nel 2014. I risultati non risentono quindi del dibattito innescato dal decreto Lorenzin, ovvero la legge che ha portato a 10 le vaccinazioni obbligatorie. E nemmeno la decisione dell’Emilia Romagna, assunta a novembre 2016, di richiedere l’immunizzazione come requisito per per l’iscrizione al nido, aveva ancora dispiegato i suoi effetti. Con la precisazione che nel calcolo dei valori di copertura del territorio della capitale sono esclusi quelli dell’Asl Roma C, che non ha fornito i dati, la situazione registrata è questa:
È possibile scaricare i dati utilizzati per costruire la mappa a questo link.
Di default viene visualizzata la situazione relativa al morbillo. Una malattia, questo il motivo, che dall’inizio del 2017 ha contagiato oltre 4.700 persone. Uccidendone quattro. E già questa mappa offre una nota positiva. Se infatti per i nati nel 2013 erano solo 11 i distretti sanitari a raggiungere la copertura del 95%, quella che fa scattare l’effetto gregge che protegge anche chi non si può vaccinare, per la classe 2014 si sale a 14. Detto altrimenti: si è passati da 150 a 491 comuni in cui i bambini di due anni sono protetti contro il virus. Certo, un passo avanti. Ma la strada è ancora lunga, se si pensa che i municipi italiani sono 7.978.
Discorso analogo per quanto riguarda la meningite di tipo C. Quattro i distretti in cui la coorte di nascita 2013 ha raggiunto l’effetto gregge, dieci quelli in cui ha centrato l’obiettivo la classe 2014. Anche in questo caso, dai circa 70 si è passati agli oltre 200 comuni coperti. Non solo. Nella mappa pubblicata a maggio la copertura più bassa, pari allo 0,17%, si registrava nella zona di Casal di Principe. Area della Campania che mantiene il poco invidiabile primato anche per la coorte di nascita 2014. Solo che questa volta a essere vaccinato è il 16% dei bambini.
I vaccini contro parotite e rosolia, normalmente inoculati insieme a quello contro il morbillo, mantengono coperture sotto il 95% in quasi tutta Italia. Fanno eccezione solo pochi distretti sanitari. E lo stesso vale per lo pneumococco. Patogeno contro cui non è obbligatorio essere immunizzati per entrare a scuola, così come per il meningococco C. Ma per il quale, specie in diverse aziende sanitarie del Sud Italia, si raggiunge l’obiettivo di copertura.
Infine l’esavalente. Ovvero il vaccino contro poliomielite, tetano, pertosse, difterite, epatite B e Hib. Di fatto obbligatorio anche prima del decreto Lorenzin, in mezza Italia non ha raggiunto l’effetto gregge. È andata così in aree ben definite del Paese. Ovvero tutto il Triveneto, con la provincia di Bolzano a fare da fanalino di coda, quindi l’Emilia-Romagna, le Marche e la Toscana.
Questa, dunque, la situazione per i nati nel 2014 al 31 dicembre del 2016. “Se si dovessero richiedere ora, questi dati, le coperture sarebbero più alte almeno del 3%”, suggerisce Pier Luigi Lopalco. Tanto, secondo il docente di Igiene e medicina preventiva all’università di Pisa, vale l’effetto Lorenzin, ossia il recupero delle coperture dovuto all’entrata in vigore del nuovo obbligo vaccinale. “In generale, stanno risalendo. Anche sui bambini dai 3 ai 5 anni. Me lo dicono i colleghi sul territorio, un po’ in tutte le Asl, che in questi mesi hanno avuto gli ambulatori pieni”. Affollati da bambini che non erano stati immunizzati e i cui genitori sono corsi ai ripari per effetto della nuova normativa, che prevede multe e mancata iscrizione a nidi e materne per chi non è in regola.
In attesa di poter guardare ai dati relativi alla corte di nascita 2015 (anche se l’Emilia Romagna ne ha pubblicati di parziali, che confermano il recupero), Lopalco appare cautamente ottimista: “Dei vaccini si è ricominciato a parlare, anche prima della nuova legge. Questo potrebbe spiegare perché in diverse realtà vediamo un trend di ripresa, dopo il brutto calo degli anni scorsi”.
Ma se “l’obbligo sta funzionando per recuperare i ritardatari”, rimane il fatto che “bisogna lavorare per rimuovere i problemi che hanno portato a questa situazione”. Occorre cioè “un’azione capillare sul territorio per migliorare la cultura del counseling alle famiglie, aumentare gli orari di apertura dei laboratori, rafforzare l’intero sistema”. È vero che “la causa del calo delle coperture sono le cosiddette mamme informate”. Le quali però, continua Lopalco, “si informano su Internet perché non ottengono risposte dal Servizio sanitario nazionale”.
Oltre a un potenziamento dell’offerta, anche la tecnologia può contribuire a rafforzare le coperture. Il tutto attraverso quell’anagrafe vaccinale nazionale che, secondo la norma approvata la scorsa estate, dovrà essere implementata dal ministero della Salute. Uno strumento che permetterà di conoscere in tempo reale l’andamento delle coperture. E che, in prospettiva, renderà più efficiente il meccanismo dei richiami per quei vaccini per i quali sono previsti.
“La situazione ideale sarebbe quella in cui vengano tracciati continuamente, oltre ai vaccini, anche le infezioni ed i ricoveri”, afferma Alberto Tozzi, pediatra epidemiologo e responsabile Innovazione percorsi clinici dell’ospedale Bambino Gesù di Roma. “Uno strumento che permetta di monitorare costantemente la situazione in specifiche aree geografiche avrebbe una potenza inaudita, ad esempio, per prevenire un’epidemia di morbillo”. Visualizzare l’insorgenza di un numero di contagi in una zona a bassa copertura permetterebbe infatti di intervenire vaccinando chi non è immunizzato. Evitando così che la malattia dilaghi.
Non solo. “È importante monitorare nel tempo anche cosa pensa il pubblico dei vaccini. Abbiamo svolto un test, misurando la reazione su Twitter dopo un paio di trasmissioni televisive dedicate al tema. In generale, i commenti erano positivi. Quelli negativi, però, permettevano di capire quali siano gli argomenti che le persone non riescono a digerire”, continua Tozzi. Colto il dubbio dei cosiddetti vaccine hesitant, “si risponde a questo tipo di esigenza. In questo modo si ha maggior probabilità di far passare l’informazione”. Con l’auspicio che anche questo possa contribuire a rialzare le coperture.
Fonte: WIRED.IT