E’ sabato pomeriggio, don Dino (don Leonardo Gabellini) è di ritorno a San Pietro dopo la settimana trascorsa a Rimini alla casa del Clero. Non è raro trovarlo qui ma è sempre bello fare due chiacchiere con lui.
A quanti anni siamo arrivati?
Di anni ne ho 92 e devo dire di essermi tanto divertito a viverli. Ho fatto praticamente tutti i mestieri: il contadino da piccolo, l’imprenditore, il compositore, l’insegnante di musica…e poi sì, anche il parroco!
Ora non si diverte più?
Non è mai divertente dover lasciare la propria casa per andare in un posto che in fondo non ti appartiene e dove pur avendo tutte le comodità e del buon cibo sei praticamente solo. Gli altri ospiti della casa infatti sono presenti solo con il corpo ma la loro anima è già in un altro mondo cosicché le mie domande restano sempre senza risposta. Non so se mi andrà ancora di vivere così, in quell’atmosfera. La cosa che più mi fa star male è il dover lasciare il mio studio e non disporre dei miei punti di riferimento: la musica e i libri. A casa mia so dove cercare, tutti i libri sono disposti in ordine sulle mensole delle librerie, alcune pareti sono dedicate ai libri di musica e altre alla letteratura poi ci sono i cd e i dvd, c’è il piccolo pianoforte e la mia televisione.
E infatti il suo è un gran bello studio davvero, si respira qui tra queste pareti la passione di una vita e vien voglia di leggere e studiare. Lei di libri deve averne letti molti.
A dire il vero ho letto molto ma avrei voluto leggere di più e l’avrei fatto se non fosse stato per quello che io chiamo demone della musica che mi accendeva il sangue e che pretendeva che dedicassi a lui tutto il tempo libero. Ci sono dei libri che però non dimentico, tutti i classici per esempio. Quanto ho amato leggere in latino Cicerone, Giulio Cesare, Virgilio, Orazio, Tito Livio. Solo Seneca ho letto poco, mi tratteneva un pregiudizio: l’allievo che aveva avuto, lo spregiudicato Nerone. E con quanta passione poi ho letto la Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso. Non ho perso mai l’abitudine alla lettura e ogni giorno leggo il giornale dalla prima all’ultima pagina, è una cosa che mi fa sentire legato alla gente e parte di una comunità con la quale ho sempre sentito di avere un legame profondo.
E la passione per la musica?
Quella inizia da lontano, è sempre stata in me e si è sviluppata in seminario con l’esercizio al canto e lo studio, tanto tanto studio. E poi ovviamente ciò che più conta: la passione che è il fuoco che tiene acceso tutto e che fa brillare ogni vita.
A proposito di questo lei ha scelto di vivere una vita al riparo dai riflettori fatta di tanto lavoro e di molto studio ma ha anche dato il la a carriere davvero brillanti.
Sì, ho investito tanta parte della mia vita sui miei studenti e molti di loro ora sono persone note nel mondo della musica, penso a Davide Cavalli e Mirco Palazzi ma potrei portare anche altri esempi. Non è stato facile per loro avermi come insegnante, io educavo i miei studenti al sacrificio e talvolta li ho visti piangere per le parole dure che usavo nei loro confronti. Ma fossi stato più morbido ora forse non sarebbero arrivati dove sono arrivati. Non volevo essere come tutti gli altri, penso che la nostra generazione abbia preparato male il tempo dei nostri giovani sottraendo loro quelle sofferenze che li avrebbero resi più forti e più capaci di affrontare l’avvenire. Io quando vedevo che una persona aveva i numeri per l’arte facevo in modo di farla emergere attraverso l’esercizio continuo. Volevo che pensassero e sognassero in grande.
La dimensione del sogno è oggi quasi perduta. Questa è la società del tutto e subito così anche sognare è considerata una perdita di tempo. E la notte, lo spazio del sogno per antonomasia, non è più fatta per dormire ma si ha la pretesa di riempirla di tante altre cose.
Questo è uno dei drammi della nostra epoca, io ho sempre amato molto dormire e nonostante le tante cose da fare, anche ora che sono impegnato a comporre la musica per la messa di Santa Rita, non rinuncio alle mie ore di sonno. Dormo tutti i giorni dalle dieci di sera alle dieci del mattino adesso che me lo posso permettere. Da bambino ricordo che durante l’estate si lavorava nei campi assieme ai genitori e agli zii e per farlo occorreva alzarsi tutti i giorni alle 2,30 di notte. Io avevo il compito di attaccare i manzi giovani che dovevano essere domati e di seguirli durante l’aratura, ovvero fino alle 9 del mattino e poi di nuovo dalle tre del pomeriggio fino alle 9 di sera. Ricordo che era tanto faticoso alzarsi presto ma anche molto divertente l’idea di essere bambino eppure così utile. Anche da parroco ho voluto rendermi utile con il lavoro e per sei anni ho mandato io avanti il podere della chiesa, sono andato a Forlì a dare l’esame per imparare a guidare il trattore e da quel momento mi sono occupato di tutto da solo facendo insieme il prete e il contadino.
Una persona speciale sotto ogni punto di vista don Dino cui è certamente toccata la sorte della rosa: due, scriveva la Morante, sono le sorti che possono toccare alle anime viventi, quella di esser api che rubano un po’ di miele a tutte le rose o quella di esser rose ed avere già dentro di sé il proprio miele, il più adorato, il più prezioso.
E tuttavia don Dino dopo aver parlato per ore con sguardo fiducioso e grato chiede che su di lui non si esageri, che non si dicano cose straordinarie perché ciò di cui va più fiero è l’esser uno del popolo, una persona semplice con tanta voglia di condividere la propria vita con quella della comunità cui da sempre appartiene e che non vorrebbe mai dover lasciare se non quando andrà incontro al mistero più bello, quello della misericordia divina. La sua solitudine nel dover restare lontano è dunque un po’ anche la nostra solitudine e la sua gioia di tornare ogni fine settimana per dire messa, inebriato da una felicità quasi divina, è senz’altro anche la nostra gioia.